Doveva essere una normalissima visita a un familiare, quella di M. Un normalissimo viaggio nella normalissima provincia italiana. E invece è diventata una via crucis tra i meandri della precaria burocrazia dell’emergenza.
M, operaio romano, padre di due figli (A. e D.), si è ritrovato in quarantena, bloccato per 15 giorni a Casalpusterlengo, in piena zona rossa. Il paziente 0 della burocrazia italiana.
Il giorno del previsto ma impossibile rientro a lavoro M si reca dai Carabinieri, in assenza di altri uffici pubblici o strutture sanitarie di riferimento: chiusa la guardia medica (personale spostato all’Ospedale Sacco, a quanto abbiamo capito nei giorni successivi), nessun medico di famiglia disponibile, chiuso il Comune di Casalpusterlengo.
La sua azienda chiede un giustificativo, un atto ufficiale. I Carabinieri, in assenza di una procedura, non lo producono. L’ordinanza della Regione Lombardia affronta il problema per i soli residenti, il sopraggiunto Decreto prevede anche i domiciliati. Ed M, come lo dimostra di essere effettivamente dove gli è stato imposto di stare?
Il suo sindacato, la Cgil, attraversa con lui questa apocalisse a bassa intensità. Inizia cercando una funzionaria sindacale per chiedere lumi e contatti. È anche lei in quarantena. Sembra una congiura. La Prefettura di Lodi non ha una risposta, le strutture di cui sopra sono chiuse, il COC (Centro Operativo Comunale) rimanda la palla al Comune. Il numero verde della Regione Lombardia è intasato e ti avverte che la linea potrebbe cadere. La linea, puntualmente, cade.
Alla fine M riesce a parlare con un operatore che lo indirizza al proprio medico di famiglia di Roma. Il sant’uomo (il primo in cui si imbatte il nostro) prontamente certifica la quarantena. Dall’Inps – secondo sant’uomo della vicenda, un bravo funzionario che capisce il problema – inizialmente dicono che no, potrebbe non andar bene. L’assenza di procedure regna sovrana e, come abbiamo visto, è virus endemico. Il medico dovrebbe visitare il paziente e non certificare da remoto.
È solo in un secondo momento che l’Inps – in tempi per altro brevissimi e contraddicendo l’immagine di carrozzone che gli è stata affibbiata – avverte che sì, la certificazione da remoto può andare: dicesi diagnosi con triage. Può andare. Basta accompagnarla a un atto notorio che chiarisca che M effettivamente si trova a Casalpusterlengo.
A un certo punto di questa lunga trafila – una trasposizione nel reale dell’odissea di Asterix per ottenere il “lasciapassare A38” – la Cgil riesce nella tarda serata del secondo giorno a parlare con il terzo sant’uomo di questa storia. Il vicesindaco Mussida, che si rende disponibile e verifica con il segretario comunale. C’è come sempre un ma. Il Comune è stato chiuso dalla Prefettura e bisogna capire se può riaprire gli uffici. Il giorno dopo il vicesindaco richiama: il compagno M può recarsi presso il Comune di Casalpusterlengo e quindi certificare tramite una pubblica amministrazione dello Stato Italiano che lo Stato Italiano gli ha imposto 15 giorni di fermo in zona rossa. E che lui è lì. Nella zona rossa.
Il compagno M ha vinto la sua battaglia e fatto da apripista.
Sperando che tutto cioè finisca presto, sappiate che in caso di necessità siamo disponibili ad aiutarvi. Siamo diventati nostro malgrado dei veri esperti.
Ps: i colleghi di M hanno seguito la vicenda con affetto e apprensione, perché gli operai hanno il cuore grande, e lo aspettano a braccia aperte, ma lo abbracceranno a distanza di sicurezza.
Pps: a scanso di equivoci ci teniamo a sottolineare che nessun riferimento alla chiusura delle strutture pubbliche è una critica e che in ogni singolo contatto abbiamo trovato persone gentili, emotivamente coinvolte e soprattutto disponibilissime.