Con la fase appena successiva all’emergenza, la ripresa delle attività ambulatoriali e delle prestazioni specialistiche rischia di portare nel Lazio a un collo di bottiglia che solo con un urgente e straordinario investimento sul personale e un immediato potenziamento dei servizi pubblici territoriali può essere superato. “Si stima oltre un milione di prestazioni non erogate in emergenza Covid19, quindi da recuperare”, denunciano la Cgil e la Fp Cgil di Roma e del Lazio.
“A queste si aggiungono le nuove richieste e le nuove prenotazioni: i tempi di attesa, data anche l’ulteriore dilazione temporale conseguente al rispetto dei protocolli di prevenzione, sono raddoppiati. Rispetto a prima della pandemia, a parità di condizioni, si erogano nello stesso tempo circa la metà delle prestazioni. Tra arretrato da recuperare e “velocità” dimezzata, il serio rischio per i cittadini della regione è quello di dover riversare le richieste sui servizi privati. In un momento in cui è sotto gli occhi di tutti il disagio sociale ed economico che ha travolto e continuerà a travolgere nei prossimi mesi il mondo del lavoro e quindi anche la capacità di spesa dei cittadini, al netto del fatto che ormai non ci siano dubbi di cosa voglia dire concretamente sanità pubblica: ovvero quanto sia importante che sia il pubblico a garantire e regolare i servizi universali alla salute”, proseguono Cgil e Fp Cgil.
“Dopo commissariamento e blocco del turn over, solo dal 2018 si è iniziato a fermare l’emorragia di personale che ha pressoché dimezzato figure specialistiche, di medici come di tutto il personale sanitario, nel sistema pubblico regionale, mentre comunque i pensionamenti , data l’età media di chi è in servizio, andranno avanti. Lo diciamo da tempo, e ora è il momento di recuperare il tempo perduto, per continuare a garantire quanto finora erogato e per dare nuove risposte. Servono investimenti straordinari, nelle dotazioni organiche come strumentali. Ribadiamo l’assoluta necessità di un piano straordinario che nel biennio 2020/21 arrivi a 10 mila unità, tra assunzioni a tempo indeterminato, da graduatorie aperte (come nel caso di infermieri o ostetriche) o da nuovi concorsi per le figure per le quali non ci sono graduatorie di idonei da cui attingere, e re-internalizzazioni delle attività sanitarie oggi affidate in appalto, per immettere nel sistema il congruo numero di professionisti necessari e iniziare a sanare la profonda ingiustizia che vive oggi il sistema sanitario, dove a stesso lavoro non corrispondono stessi diritti”.
“La priorità ora, in uscita dalla fase emergenziale, è il potenziamento della sanità territoriale, delle attività ambulatoriali come dell’assistenza specialistica, domiciliare e residenziale, così come un modello più efficace di erogazione delle prestazioni aggiuntive. Servono assunzioni a tutto campo, che consentano di dare ai cittadini le dovute risposte, ai lavoratori le giuste e adeguate condizioni di lavoro e di contratto, alle tante giovani risorse pronte e preparate ad entrare in sanità, e alla sanità pubblica stessa, un’opportunità e un futuro”, concludono i sindacati.