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Agitu, una storia di integrazione.

Sono storie di donne che dovremmo tutti, di più, raccontare mentre accadono.

Mentre la sua morte è forse prevedibile quanto sicuramente crudele, in un mondo dove paura e stereotipo tengono a distanza dal diverso, non riconoscono appieno il ruolo delle donne, non consentono la completa integrazione dello straniero, la vita di Agitu Gudeta Ideo è una storia potente e affatto scontata. Ed è una storia accaduta in questo paese. Dove, nonostante tutto, grazie a impegno e coraggio si dimostra che lo spazio per rompere difese e barriere culturali, c’è. E va difeso.

Laureata a Trento in sociologia, torna in Etiopia con l’intenzione di contribuire allo sviluppo e miglioramento del suo paese. Da li deve scappare, nel 2010, in seguito alle minacce di arresto da parte del governo, dato il suo impegno contro il “land grabbing”, ovvero l’accaparramento di terre da parte di multinazionali a danno degli agricoltori locali. 

 Molti suoi compagni sono stati uccisi, altri sono scomparsi, ma lei riesce a scappare proprio grazie al permesso di soggiorno per motivi di studio. Torna in Italia, il paese che le aveva offerto una possibilità, e avvia un allevamento di capre a Frassilongo, in Trentino, recuperando un terreno di 11 ettari abbandonato. La sua azienda, “La capra felice”, aveva il merito di allevare un gregge di capre Mochene, altrimenti destinate all’estinzione, e Agitu produceva formaggi con metodi tradizionali e sostenibili. Per difendere le sue capre dai lupi aveva montato sul recinto delle lampadine colorate, azionate da un pannello solare, che si accendono e si spengono a intermittenza, mettendo così in confusione i lupi e allontanandoli dalle capre.

 La storia di Agitu è un simbolo di integrazione e inclusione, di riscatto femminile, di capacità imprenditoriale. E tiene dentro anche altro: sostenibilità, recupero di aree abbandonate e di specificità autoctone, una risorsa importante per la ripartenza economica. Di un paese che ami e che ti dà un’opportunità, anche se non è lì che sei nato. Nonostante l’immancabile contesto di sfondo, che non le ha risparmiato accuse e minacce razziste.

 Il finale non è quello di una favola a lieto fine, e non ci sono lupi cattivi. È un’altra donna uccisa da un uomo. È un altro femminicidio.

Le circostanze e le motivazioni verranno chiarite dalle indagini. Ma quel che leggiamo, in questo triste finale, è frutto di quella disumanità tutta umana, e senza confini di sorta, che ogni cultura patriarcale porta con sé, basata su repressione e sopraffazione, fino a quella fisica, la più estrema.

 Raccontare e conoscere le storie come quelle di Agitu, potrebbe forse far nascere dal basso una risposta forte, politica e culturale, che renda davvero questo un paese democratico, civile e liberale. Fondato sul rispetto, la libertà e la non discriminazione.

 Questa volta, non c’è stato tempo. Non possiamo cancellare il finale di questa storia, ma possiamo cogliere l’occasione per ripercorrerla all’indietro. Leggendoci quello che, paradossalmente, è l’esempio di come si possa e si debba contrastare, nelle proprie scelte di vita e di coraggio, ogni discriminazione, ogni razzismo, ogni pregiudizio, ogni violenza. 

Il coordinamento donne Fp Cgil Roma e Lazio