Di seguito un documento realizzato dalla Fp Cgil Roma e Lazio (qui scaricabile in formato Pdf).
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Alla Sindaca di Roma Capitale Virginia Raggi
Al nuovo Cda di AMA Spa
L’arrivo del Cda, se confermato, dopo mesi di vuoto è già di per se una buona notizia. Un fatto che quantomeno dà una speranza, vista la mancanza di indirizzo e strategia sui temi più urgenti da affrontare in azienda.
Bisogna iniziare a dire ai romani e ai lavoratori la verità. Bisogna saper ammettere che i tempi per la chiusura del ciclo sono lunghi, che c’è bisogno di programmazione e risorse, che i risultati non possono essere immediati. E mentre si progetta bisogna adoperarsi per trovare soluzioni che permettano di sfruttare al meglio il potenziale inespresso.
Va da subito aperto un tavolo di crisi, per affrontare i nodi cruciali dal punto di vista operativo e pensare al futuro dell’azienda. Lo abbiamo detto all’indomani della scelta della Giunta e lo ripetiamo: non ci possiamo più permettere perdite di tempo, progetti spot e lontani dalla realtà. Abbiamo bisogno di concretezza e realismo. Di risposte sul futuro di Ama, sui bilanci, sulla delibera 52 mai modificata nonostante le promesse, e sul piano assunzionale predisposto e mai partito.
La partecipata dei rifiuti è a un bivio: darsi una strategia per tornare ad essere un soggetto industriale autosufficiente che guarda oltre i confini della Capitale o accettare il declino, diventando sempre più una stazione appaltante che gestisce per Roma Capitale la raccolta basandosi sugli introiti del contratto di servizio.
Stabilità economico-finanziaria
Un’azienda gravata come Ama dalla dipendenza esterna e con oneri pesanti derivanti dai servizi dati in appalto è già di per sé fragile. Questa fragilità economico-finanziaria – e l’esposizione agli “umori” di un mercato dello smaltimento che condiziona pesantemente le scelte aziendali – permette ad AMA di andare avanti, tra mille difficoltà, solo grazie alle rimesse del contratto di servizio.
Non raramente Ama si è trovata in situazione di grave ristrettezza, al limite dell’incapacità di pagare gli stipendi, e la mancata approvazione del bilancio consuntivo 2017 – e ormai anche di quello 2018 – non hanno fatto che peggiorare questo equilibrio precario.
Va quindi chiusa la partita dei bilanci in modo definitivo e vanno chiarite le reali condizioni in cui versa l’azienda, le prospettive sui possibili investimenti – se sono ancora possibili – e le condizioni in cui potrà operare nel futuro prossimo.
Ripristinare corrette relazioni sindacali
Se da subito diamo la nostra disponibilità a contribuire all’uscita dalla crisi, pensiamo che affinché questa collaborazione sia possibile l’azienda debba abbandonare il piglio inutilmente decisionista che l’ha portata ad assumere troppo spesso condotte antisindacali. Bisogna ricominciare ad applicare il contratto nazionale per tutto quello che riguarda la partecipazione sindacale – dai trasferimenti, argomento costantemente oggetto di frizioni tra le parti e di violazioni reiterate da parte dell’azienda, passando per i temi centrali come gli appalti, le riorganizzazioni, la programmazione del servizio, l’innovazione tecnologica, su cui al sindacato viene negato un ruolo di controllo e uno spazio di collaborazione proattiva – per rimettere le basi di un confronto oggi più che mai necessario.
Già ricevere risposte alle lettere unitarie scritte e rimaste inascoltate sarebbe un buon inizio per recuperare una dimensione relazionale corretta.
Non sono ripetibili – e il caos sulle buste paga di questi mesi rischia di farci rivedere lo stesso film – esperienze come la vertenza sulla legge 104, con Ama che nega per anni l’applicazione di norme di legge o contrattuali salvo poi fare un passo indietro di fronte alle iniziative legali delle organizzazioni sindacali e alle azioni dei singoli.
Per ripristinare un clima sano in azienda bisogna rendere effettivo il godimento dei diritti mentre si pretende giustamente il rispetto dei doveri da parte di tutti.
Condizioni di lavoro dignitose per un servizio all’altezza della Capitale
In troppi casi le pessime condizioni di lavoro hanno effetti non solo sulla salute degli operatori – con numeri allarmanti di lavoratori che non sono più in grado di operare su tutti i servizi – ma anche sull’offerta di servizi. I cicli di raccolta inefficienti, e una cronica carenza impiantistica, provocano il riversarsi dei rifiuti su strada e obbligano gli operai di zona a effettuare il servizio base, ovvero la raccolta manuale, che in alcuni municipi di Roma arriva ad impiegare più del 20% della forza lavoro, con punte superiori al 30%. Un modo spossante di lavorare, ma soprattutto improduttivo, perché distoglie forza lavoro da altri servizi, che potrebbero essere effettuati in modo corretto, e dal decoro della città.
Da questo punto di vista l’introduzione del nuovo porta a porta ha persino peggiorato la situazione: dotazione di mezzi inadatta; modello non pianificato in base alla conformazione del territorio e con cattiva corrispondenza tra esposizione del rifiuto e raccolta; dotazione di uomini inferiore alle necessità, spesso rimpolpata spostando personale da altre zone con conseguente ulteriore scopertura dei servizi; programmazione estemporanea. Soprattutto quest’ultimo elemento ha causato un peggioramento del lavoro su strada, con soluzioni raffazzonate che – come già succedeva per il vecchio porta a porta, ormai giunto al capolinea per abbandono – hanno portato a collocare i bidoni nelle postazioni più bizzarre, alla fine di lunghi percorsi, in salite ripide, dentro androni che non permettono di portare agevolmente i bidoncini in prossimità dei mezzi perché le vie di fuga sono spesso ostruite dalle autovetture.
Sono solo pochi esempi delle difficoltà quotidiane riscontrate sul territorio a causa di una rincorsa al risultato che, lungi dal produrre significativi avanzamenti sulle percentuali di differenziata, ha persino aumentato i cumuli e peggiorato la capacità dell’azienda di programmare un servizio conciliabile con la tutela della salute e della sicurezza degli operai. A tal proposito non è stato ancora possibile discutere in azienda le disposizioni dello Spresal proprio in merito a un esposto degli Rlssa sul Pap e sul servizio base.
Lo stesso livello di incuria caratterizza la gestione delle officine – emblematico il caso dell’autorimessa Salario, che adesso non ha più un’officina degna di questo nome perché, nonostante le ripetute denunce delle organizzazioni sindacali e dei rappresentanti per la sicurezza, l’azienda invece di intervenire per tempo ha aspettato che anche in questo caso fosse lo Spresal a obbligarla alla chiusura di quella struttura – che dovrebbero invece essere rilanciate visto l’enorme potenziale inespresso e la cronica carenza di mezzi su strada.
Quanto agli impianti, dopo l’incendio che ha privato AMA e Roma del Tmb Salario, Il Tmb di Rocca Cencia lavora su 4 turni h24, senza un singolo turno di manutenzione ordinaria, costantemente in balia delle rotture e senza un piano che garantisca la continuità. Lo abbiamo chiesto all’indomani della tragedia e continuiamo a chiederlo. Anche in questo caso la qualità del lavoro e la qualità del servizio sono intimamente legate, ma con una maggiore gravità per le ricadute sul ciclo in caso di guasti. Un ragionamento approfondito andrebbe poi fatto sui VRD, che registrano da mesi un conferimento di multimateriale difforme, con casi eclatanti di rifiuti ospedalieri giunti dentro gli impianti di proprietà – fatto che pone interrogativi sulla filiera dei non assimilabili e su cui sarebbe necessaria una verifica – o con il caso di Pomezia che continua a riceve rifiuto trattabile a intermittenza o peggio ancora in alcuni casi non ha prodotto da lavorare.
Altro nodo da affrontare è quello della sicurezza degli operatori che operano sul territorio, oggi oggetto di troppe aggressione da parte dei cittadini. Serve evidentemente una riconnessione con la città, perché Ama e i suoi lavoratori hanno subito in modo violentissimo una retorica e una propaganda avversa che li ha troppo spesso additati come un problema. Perché si ricostruisca un rapporto di fiducia con i cittadini serve da una parte un’operazione verità sulle difficoltà aziendali e dall’altra una risposta visibile sulla qualità del servizio.
Ma sulle aggressioni serve anche un segnale di vicinanza ai lavoratori, che troppo spesso si sono sentiti soli. Anzi che troppo spesso sono stati lasciati soli. Oltre a stabilire delle procedure di intervento vanno messe in campo campagne di comunicazione a tutela degli operai. L’azienda deve “metterci la faccia” e la tutela legale, per far percepire ai cittadini una maggiore attenzione e un atteggiamento di reale presa in carico rispetto alla tutela della dignità per chi lavora onestamente.
Riorganizzare le officine, uscire dalla crisi dei mezzi
Nel maggio del 2018 l’azienda aveva presentato un progetto di riorganizzazione delle officine che, seppur con i dovuti correttivi e le necessarie integrazioni, aveva trovato il favore dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali. Andava nella giusta direzione. Dopo un primo tentativo di riapertura del tavolo, la discussione si è arenata.
Unitariamente a dicembre dell’anno scorso presentammo una piattaforma per punti, che sintetizziamo: definizione di procedure certe che, nel garantire l’operatività, rispettino il dettato contrattuale; redazione di atti aziendali volti a regolamentare l’impiego, in via del tutto eccezionale, di operai specializzati e non per lo svolgimento di compiti non previsti della loro figura professionale ma richiesti dall’azienda; definizione di un piano di formazione costante; adeguamento infrastrutturale delle officine, a partire da Ponte Malnome e Salario; condizione di decoro, tutela della salute e della sicurezza degli addetti, per trovare soluzioni alle criticità evidenziate nei singoli stabilimenti (dai problemi legati al riscaldamento degli ambienti passando per la qualità della strumentazione di cui sono dotate le strutture, fino alla definizione di procedure e alla risoluzione dei problemi legati al lavaggio dei mezzi e alla sanificazione degli ambienti); ricollocazione degli operatori che per motivi sanitari non possono svolgere la loro mansione originale e – nel rispetto dei livelli di inquadramento e della dignità delle persone – il reimpiego in funzioni utili all’efficientamento del processo produttivo, ad esempio creando figure come l’attrezzista per permettere anche una maggiore tutelare del patrimonio aziendale; necessità di sanare le posizioni di lavoratori che svolgono ruoli difformi da quelli previsti dal proprio contratto di assunzione; l’elaborazione di una turnistica più efficace nel rispondere alle esigenze delle autorimesse, tutelando la salute degli operatori.
Assieme alla programmazione dei giri di raccolta – spesso non corrispondenti alle emergenze sul territorio, con il paradosso di avere cassonetti dello stradale vuoti ma assediati dai cumuli o per quanto riguarda le utenze non domestiche effettuati con orari non conciliabili con le esigenze delle attività commerciali – i mezzi disponibili sono uno degli elementi di grave criticità del sistema. Allo stesso modo la lunga percorrenza sulle strade della capitale di mezzi impegnati nello scarico indurrebbe a pensare che la presenza su ogni municipio di strutture di trasbordo potrebbe aiutare a impegnare di più i mezzi disponibili sul servizio.
Appalti e internalizzazioni, individuare la spesa improduttiva
Il tema degli appalti ha due ricadute evidenti. Una economica e una legata all’offerta dei servizi. Se ad esempio gli appalti del settore officine appaiono troppo onerosi quando non insensati (vedi lavaggi esterni e riparazione presso terzi) e la spesa in questi settori inefficiente – risultando evidente quindi la necessità di reinternalizzare interamente il settore, oltre che di intervenire in modo deciso sugli acquisti e sulla cronica carenza di scorte di magazzino in un’ottica di economie di scala – in altri casi come l’appalto per la raccolta differenziata per le Utenze Non Domestiche hanno una ricaduta tanto sul decoro della città quanto sul lavoro di Ama. Le note vicende dell’appalto Und, che hanno portato a una lunga vertenza mai definitivamente chiusa, portano a un doppio paradosso: i lavoratori in appalto vivono nella precarietà e subiscono condizioni di lavoro indecorose; Ama continua a coprire un servizio in appalto che, nonostante gli sforzi dei lavoratori delle società esterne, non viene erogato in modo puntuale in quanto non pianificato in modo adeguato. La gestione dell’appalto Und accende poi un faro su un altro problema irrisolto e da affrontare, quello dei mercati rionali, mal organizzati tanto dal punto di vista della gestione quotidiana della raccolta differenziata da parte dei commercianti quanto da quello della pulizia e del mancato raccordo con la Polizia Municipale di Roma Capitale. Sinergia necessaria e che, se messa a punto, potrebbe rendere il servizio più sicuro per chi lavora e più efficiente e decoroso per il territorio.
In entrambi gli esempi citati – ma il focus sulle internalizzazioni andrebbe esteso a tutti i settori a partire da quello dei cimiteri capitolini, in cui il servizio pubblico rischia di scomparire a discapito dei privati come nel caso della polizia mortuaria e l’invecchiamento del personale, unito alla mutazione delle richieste dei cittadini sempre più orientati alla cremazione, necessita di una risposta in termini di investimenti – nessuna operazione di internalizzazione è oggi realisticamente praticabile in assenza di assunzioni.
Non abbandonare la raccolta stradale, investire sui centri di raccolta
Un immediato sollievo alla città andrebbe dato investendo su una più puntuale e ragionata raccolta stradale, che aiuterebbe a pulire le strade e aumentare la differenziata. Prevedere tutte le frazioni in ogni imposto permetterebbe di limitare la migrazione del rifiuto o il crearsi di cumuli, ma a patto di poter raccogliere puntualmente ed evitare il proliferare del servizio base. Da questo punto di vista un investimento in innovazione tecnologica, visti anche quelli effettuati su RFID e palmari, doveva essere quello sui sensori di riempimento per raccogliere là dove serve ed evitare una ripetizione rutinaria quanto inefficiente dei giri.
Allo stesso modo, come già in parte previsto dopo l’apertura del tavolo sui centri di raccolta, va garantita l’apertura su entrambi i turni mattina e pomeriggio, vista la costante carenza di personale che obbliga a lasciare i cancelli chiusi, con il conseguente scarico dei cittadini per strada o davanti alle sedi dei CDR.
Basta con il sindacato dei capi
La commistione tra ruoli sindacali e ruoli aziendali, soprattutto relativa ai capi intermedi, è una delle patologie croniche di Ama. Favoritismi, clientele, gestione padronale delle unità produttive, sono elementi che caratterizzano un sistema in cui la distinzione dei ruoli si è sbiadita fino a scomparire. L’azienda, nel promuovere percorsi di trasparenza, deve contrastare un fenomeno che comporta disparità di trattamento tra i lavoratori e non aiuta l’efficienza aziendale. Un sistema che tutela riserve di privilegi e fa proliferare le ingiustizie, facendo credere ai lavoratori che in Ama nulla è possibile senza il sindacato giusto.
Valorizzazione del personale e trasparenza
AMA è stata troppo spesso un termine di paragone negativo, il simbolo della degenerazione etica della vita sociopolitica capitolina. Anche sul tema della gestione del personale serve quindi una “ricollocazione” dell’azienda. Via Calderon de La Barca deve diventare un palazzo di vetro, chi lavora in AMA deve tornare a sentire l’orgoglio di lavorare al servizio della propria comunità. Serve quindi una svolta nella direzione di una maggiore evidenza pubblica delle scelte aziendali: un piano dei fabbisogni, previsioni certe sulle progressioni di carriera, che troppo spesso appaiono forzate quando non opache e le cui ragioni sfuggono alla comprensione dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali; crescita professionale accompagnata da piani formativi individuali e collettivi, per valorizzare il personale e investire sulle competenze, tanto nei settori operai quanto in quelli amministrativi, che richiedono un costante aggiornamento e una valorizzazione che negli anni è mancata; mobilità trasparente per contrastare clientele e favoritismi, per permettere ai lavoratori di comprendere i processi attraverso graduatorie pubbliche.
Tavolo di crisi, piano industriale
Tutti i punti elencati, che rappresentano solo le criticità operativamente più urgenti da affrontare, restano solo marginalmente risolvibili senza un piano industriale che tracci la strada che Ama vuole percorrere in futuro. Mentre un tavolo di crisi inizia ad affrontarli in modo tempestivo, va definita la strategia di lungo periodo e l’assetto futuro. Non essendo affezionati alle formule se non per quanto riguarda la natura pubblica del soggetto gestore, e pensando che la vera priorità sia il rilancio industriale e la chiusura del ciclo, siamo disponibili a discutere di una ristrutturazione aziendale che parta da queste priorità.