“Nel Lazio gli interventi per far fronte all’emergenza Coronavirus si sono concentrati sul sistema ospedaliero: questo ha consentito, nonostante le tante difficoltà, di rispondere all’emergenza, ma se la rete ospedaliera non è entrata in crisi seppure con sofferenza, il resto del sistema non ha retto. Ne è testimonianza la nascita di diversi focolai all’interno di alcune strutture sanitarie di assistenza residenziale e di alcune strutture sociali per anziani. In rapporto alla media regionale l’incidenza, in termini di contagi e di decessi, di queste realtà, in cui vengono ospitate le fasce di utenti più fragili, è stata elevatissima.
Ora, è il momento di passare da un approccio emergenziale ad un approccio di profilassi e prevenzione, partendo dal modello di gestione su aree strategiche di assistenza alle fasce più fragili della società per evitare il ripetersi di quanto accaduto”, scrivono in una nota la Cgil, Spi e Fp Cgil di Roma e Lazio.
“In particolare, com’è noto dai fatti di cronaca, le RSA (Residenze Sanitarie Assisitite) e le comunità socio assistenziali per anziani (le cosiddette Case di Riposo) sono stati i punti più critici dell’emergenza.
Mentre la rete dell’Emergenza e la rete Ospedaliera laziale è prevalentemente a gestione diretta del pubblico, i servizi riabilitativi e di cura delle cronicità risulta gestita da privati accreditati. Un sistema che ora necessita di essere ridefinito”, proseguono i sindacati.
Nella rete delle RSA accreditate oggi risultano 8.500 posti letto, molto lontani dal fabbisogno di 15.000 posti per l’intera regione, e circa 8.000 nelle case di riposo. Gli aumenti di posti letto avvenuti nei sei anni precedenti al 2015, di circa 1.600, non hanno compensato le contestuali perdite di 4.000 posti letto nelle strutture ospedaliere.
“I controlli effettuati in queste strutture da parte della Regione – proseguono Cgil, Spi e Fp – hanno fatto emergere, in alcuni casi, problemi di gestione e rispetto dei criteri per cui si era ottenuto l’accreditamento. Anche gli organici sono ridotto all’osso e il personale sotto inquadrato, in un panorama frastagliato dove i diritti e le tutele delle professionalità vengono meno, e con essi la qualità dei servizi resi ai cittadini. Per le poche informazioni a disposizione, sono pochi gli addetti inquadrati come infermieri professionali e scarse sono le indicazioni circa le figure specialistiche. Almeno il 32% sono contratti a termine, il 35% risulta impiegato nei servizi generali e amministrativi. Al personale alle dirette dipendenze delle RSA si applica un contratto, l’AIOP RSA, che i sindacati confederali non hanno firmato, perché ha abbassato i livelli retributivi e ristretto il campo dei diritti. A questo si aggiunge un forte ricorso all’outsourcing attraverso appalti a cooperative”, proseguono.
“Numero di posti letto insufficiente, bassi standard quali-quantitativi e inadeguato inquadramento del personale, rendono insostenibile questo modello, che necessita di una strategia complessiva che ne rovesci l’impianto, da privato a pubblico. L’avvio della RSA di Genzano, da parte della ASL RM 6, per 40 posti letto, ottenuta recuperando l’ex ospedale, deve essere solo il primo passo verso un intervento sempre più ampio del sistema sanitario nella gestione diretta di queste strutture. Ci sono numerosi immobili di strutture sanitarie oggi dismesse, di proprietà della Regione, che potrebbero essere recuperate e riconvertite: per la tutela della salute dell’ampia fascia di popolazione più fragile e per l’accrescimento dei diritti e del numero di operatori, attraverso nuove assunzioni, è fondamentale che il pubblico diventi prevalente in questi servizi, non più solo come regolatore ma come gestore diretto”, concludono i sindacati.
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